| Stamattina ho finalmente trovato il tempo per buttar giù il consueto "dietro le quinte" alla storia. In questo caso, avevo molte più cose da dire del solito e quindi il testo è ancora più lungo.
Come al solito... Il testo che segue è uno spoiler quasi dall’inizio alla fine, quindi chi ancora non ha letto la storia è meglio che non prosegua nella lettura!
DIETRO LE QUINTE
The Punisher e il “Comitato”: L’idea di partenza di questa storia era molto semplice: mettere a confronto Diabolik con un personaggio nello stile del Punitore (Punisher), il giustiziere in costume dei fumetti Marvel nato come avversario dell’Uomo Ragno, che avrebbe cercato di uccidere il Re del Terrore; magari inserendo molta azione, elemento che a volte trascuro nelle mie trame. Oltre a “The Punisher”, l’idea era in parte derivata anche da un romanzo intitolato “Il Silenzio”, scritto da un poliziotto che si firma Gianni Palagonia, che racconta in forma romanzata episodi della propria vita. Ad un certo punto, nel libro, ricorda come lui ed altri colleghi avessero formato un “comitato” deciso a combattere la mafia utilizzando mezzi illegali: “Sapevo che avevamo concepito qualcosa di molto grave”, scrive Palagonia “[…] Era la rabbia accumulata per aver visto troppe cose sbagliate, per il fallimento di un sistema a cui avevamo dedicato le nostre vite”. Il progetto iniziale sarebbe stato trasformato drasticamente.
Le cose si complicano: Nelle mie intenzioni iniziali, questa doveva essere una storia più semplice e lineare di quelle che scrivo di solito, ma poco dopo averla iniziata mi resi conto di una cosa: non amo scrivere storie semplici e quindi dovevo assolutamente complicarla un po’. Cominciai quindi a ingarbugliare le cose ideando l’incontro nella banca super controllata, con DK che riusciva ad ascoltare la conversazione grazie alla radiospia nel cucchiaino da caffè, e poi il colpo al treno. Inizialmente, infatti, pensavo di non inserire un vero e proprio colpo, ma di far entrare in scena Diabolik dopo un furto, inseguito dalla polizia; il criminale si sarebbe sbarazzato facilmente di tutti gli inseguitori tranne uno, il Giustiziere, che si era unito alla caccia dopo aver sentito la notizia ascoltando le frequenze radio della polizia. Tra l’altro, quando iniziai a scrivere la storia, dietro la maschera del Giustiziere doveva esserci Nolan. Ad un certo punto decisi di cambiare le carte in tavola e dal “comitato” trassi l’idea di un team formato da mente (Nolan) e braccio (Toser). A quel punto, decisi di trasformare Nolan in uno zoppo per divertirmi alle spalle dei lettori più scaltri, dato che in genere in un giallo quando compare uno zoppo o un paralitico, che sembra impossibilitato dall’aver commesso i delitti, alla fine l’assassino si rivela essere proprio lui. Il rovescio della medaglia, però, è che per i lettori meno “assuefatti” ai tipici trucchi dei gialli, probabilmente l’identità del Giustiziere è apparsa ovvia fin dall’inizio… e in effetti, qualcuno ha contestato che fosse troppo facile da capire. La cosa è alquanto ironica, soprattutto se si pensa che durante la scrittura della maggior parte del soggetto, per me l’assassino era proprio Nolan
Furto con destrezza: La vicenda del treno “scomparso” è derivata – modificandola - da un giallo radiofonico di Ellery Queen del 1943 (trasformato in seguito in racconto breve), in cui un treno che scorta un prigioniero viene deviato su una linea morta mentre un complice del criminale, in contatto con la polizia, comunica falsamente il corretto passaggio del treno alla stazione precedente di quella dove è atteso. Quando il mezzo non giunge alla stazione successiva, alla polizia sembra scomparso nel nulla. Era un’idea che mi piaceva, ma non utilizzabile così com’era, perché non vedendo arrivare il treno Ginko avrebbe contattato anche la pattuglia che gli aveva dato la comunicazione perché prendesse parte alle ricerche. Se anche del colpo se ne fosse occupata solo Eva, Diabolik non avrebbe comunque potuto unirsi alle ricerche, perché le pattuglie di polizia sono composte da due agenti e lui non usa altri complici; quindi l’ispettore avrebbe capito subito cos’era successo. Mi venne quindi l’idea di invertire la situazione: Diabolik non avrebbe mentito, dicendo a Ginko che il treno era regolarmente passato per la stazione, ma una volta scoperto che la comunicazione gli era stata fatta dal criminale, Ginko si sarebbe convinto del contrario, cercando il treno nel tratto sbagliato della linea ferroviaria. Alla fine, quindi, il trucco è parzialmente “rubato”, ma sono parecchio orgoglioso della trovata che ho ideato, perché mi sembra che rappresenti l’essenza di ladro geniale di Diabolik
I segnalatore scomparsi: Sia nella mia versione che in quella pubblicata, il Giustiziere arriva a Diabolik grazie ad un segnalatore fornito da Ginko, ma il dispositivo che avevo ideato io era differente: era normalmente inattivo e veniva attivato con un segnale via radio dalla stazione di polizia solo dopo che Diabolik aveva compiuto il furto, e a quel punto cominciava a trasmettere la propria posizione. Andrea e Mario decisero di eliminarlo, sostituendolo con il congegno già apparso nella storia “Il Momento Sbagliato”; io avevo scritto il soggetto poco prima dell’uscita di quel racconto e quindi all’epoca non ne conoscevo l’esistenza. Nel mio soggetto c’era però anche un secondo segnalatore, sempre attivo, tramite cui veniva monitorata la posizione del treno minuto per minuto. Eva ne rilevava la presenza, ne bloccava il segnale e lo trasferiva ad un secondo dispositivo, da lei piazzato su un carrello che scorreva su binari, che inviava il segnale alla centrale impedendo che questi si accorgessero che il treno aveva deviato dal percorso. Questo ulteriore segnalatore è stato eliminato dalla storia per motivi di spazio.
Qual è la verità?: Dall’idea di partenza di uno scontro fra Diabolik e un giustiziere - unito a una riflessione sul concetto di giustizia - la storia ha finito per incentrarsi sul tema di quanto la verità sia sfuggente nella realtà e spesso difficilmente determinabile. Tranne quando un criminale viene colto sul fatto, nella maggior parte dei casi non si saprà mai davvero se una persona è colpevole o innocente. Ogni sentenza emessa da un tribunale è semplicemente una teoria che chi giudica ha ritenuto corretta… ma potrebbero essergli mancargli elementi essenziali per comprendere come sono andate davvero le cose. Chi costruisce una storia contro la pena di morte, generalmente sceglie di incentrarla sulla storia di un uomo condannato ingiustamente, ma questa è una scelta semplicistica. Chiunque si indigna quando ha la certezza che è stato condannato un innocente; il problema vero, invece, è proprio il fatto che spesso non si può sapere se una persona è davvero colpevole o innocente. Quando iniziai a “complicare” la mia storia, decisi quindi che inizialmente avrei cercato di convincere il lettore che il “condannato” era colpevole e poi avrei sgretolato le sue certezze, mostrandogli un’ipotesi opposta altrettanto credibili e chiudendo il racconto senza rivelare quale fosse la verità. E proprio il dubbio di aver ucciso un innocente, senza poter sapere se fosse vero o no, sarebbe stato il dramma che avrebbe consumato il mio giustiziere nel finale.
Sdoppiamento di personalità: Quel finale però, non era conciliabile con l’idea che mi ero costruito fino a quel momento del “Giustiziere”. Il personaggio che stavo ideando era un uomo con un senso della giustizia talmente estremo da sconfinare nella follia, non era quindi credibile che rimasse sconvolto dal dubbio di aver ucciso un innocente: si sarebbe semplicemente rifiutato di accettare l’idea. Mi riallacciai quindi all’idea del “comitato” fra poliziotti di Palagonia, sdoppiando il Giustiziere in due personaggi dalle caratteristiche completamente diverse. Il secondo sarebbe stato più influenzabile, con un maggior bisogno di conferme sul fatto che quanto stava facendo era giusto e che quindi sarebbe stato psicologicamente distrutto dall’idea di aver ucciso qualcuno che forse non era colpevole.
L’alternativa: Sapevo però che il finale che stavo andando a proporre era qualcosa di anomalo per Diabolik. C’era già stata – è vero – la storia “Patto al Veleno”, che si chiudeva senza rivelare se un certo personaggio sarebbe sopravvissuto oppure no, ma terminare l’episodio senza rivelare chi era il colpevole di un omicidio che era uno dei punti fondamentali dell’episodio, mi sembrava una decisione molto più estrema e temevo che Mario potesse non approvarla. Avevo quindi deciso che se fossi stato costretto ad una scelta, la soluzione corretta si sarebbe rivelata la prima: l’assassino non era Diabolik. Dal punto di vista narrativo, sarebbe infatti risultata più forte l’idea che il Re del Terrore si fosse salvato grazie alla sua intelligenza, “colpendo” il Giustiziere nel suo punto debole con una falsa rivelazione ideata sul momento. Per fortuna Mario ha accettato l’idea originale non è stato necessario scegliere una singola “verità” fra le due possibili.
Un tema scomodo: C’era invece un altro elemento nella versione originale del soggetto, che Mario non ha approvato: quello degli abusi sessuali di Vorniz su sua figlia, che non era Chiara ma una bambina di nome Livia. Nella versione che Diabolik raccontava a Toser, il motivo per cui il conte era stato ucciso era proprio questo: in cassaforte non custodiva solo l’oggetto che gli era stato rubato, ma anche una serie di fotografie che mostravano i suoi abusi. Vorniz era quindi stato ucciso per liberare la bambina da quell’incubo e le fotografie erano state distrutte per evitare che venissero ritrovate dalla polizia e che i giornali trasformassero la bambina in un caso umano su cui speculare per aumentare le vendite. O questo, almeno è quanto diceva Diabolik; impossibile da verificare, perché nel frattempo anche Livia era morta in un incidente. Nonostante la pesantezza della vicenda raccontata (resa ancora più triste dalla morte accidentale della vittima), quello che mi piaceva di questa versione è che permetteva di aprire la storia mostrando la scena in cui Vorniz veniva accoltellato pur non rappresentando alcun pericolo per il ladro, cosa che avrebbe portato il lettore alla certezza che Diabolik ed Eva non c’entravano… almeno fino al racconto di Diabolik. Il tema venne però giudicato troppo forte da Mario per essere utilizzato come elemento di contorno all’interno di una storia il cui punto principale era altro.
Il rituale: Uno dei particolari che distinguono un comune omicidio da un’esecuzione è il rituale: che si tratti di sedia elettrica, puntura letale, ghigliottina o altro, la sentenza viene sempre eseguita seguendo un rito con passi ben precisi e codificati, perciò era importante che anche il mio giustiziere ripetesse ogni volta lo stesso rituale, dato che lui non si considera un assassino ma l’esecutore di una giusta condanna. Nella mia versione, il rituale si chiudeva con il giustiziere che lasciava cadere sul corpo del morto un cartoncino con la scritta “giustizia è fatta” per firmare i suoi delitti. Andrea aveva pensato di sostituire quel “biglietto da visita” con la carta dei tarocchi raffigurante la giustizia e io avevo approvato l’idea; Mario evidentemente no e nella versione definitiva è ricomparsa la frase “giustizia è fatta”, ma solo pronunciata a voce. Tra l’altro, gli elementi ripetitivi e la firma nel compimento dei delitti sono elementi tipici di alcuni assassini seriali e il giustiziere di questa storia è a tutti gli effetti un serial killer, anche se lui non se ne rende conto e si giudica ben diversamente.
L’uomo della calibro 9: È interessante notare che benché io mi riferisca sempre al personaggio con il nome di Giustiziere, come avveniva nel mio soggetto, nella versione finale della storia in realtà viene sempre chiamato “L’uomo della Calibro 9”. Il fatto è che un personaggio definito “Il giustiziere” era già apparso nella serie, nell’albo de Il Grande Diabolik intitolato “L’Ombra del Giustiziere” (tra l’altro ispirato ad una mia idea); in quel caso non si trattava però di un vigilante, ma della moglie di uno dei secondini corrotti da Eva nel numero 3 della serie, che ricattava la città con una serie di attentati richiedendo la cattura e l’esecuzione di Diabolik per cessare la sua attività.
I due volti della giustizia: L’idea di mettere a confronto le due diverse visioni di giustizia del Giustiziere e di Ginko era presente fin dall’inizio e fra i miei primi appunti per la storia c’era proprio la scena in cui Nolan, con la sua delirante idea di giustizia, arrivava a considerare Ginko in parte responsabile degli omicidi commessi da Diabolik perché aveva avuto più volte la possibilità di uccidere quel criminale ma non lo aveva fatto. Mario Gomboli definì la faccenda “abbastanza paracula” , perché è chiaro che Nolan ha necessità di uccidere Ginko per scampare alla galera, ma ha anche bisogno di trovare una giustificazione al suo gesto, che rientri nella propria, deformata, concezione di giustizia. I fatti che portavano alla cattura di Ginko a casa di Nolan erano però alquanto differenti nel mio soggetto rispetto alla versione pubblicata. Ginko, resosi conto che Diabolik non poteva aver scoperto ed eliminato in fretta il suo dispositivo, arrivava a casa di Nolan già convinto di essere stato ingannato da lui e avendo ormai intuito il suo piano. Ci andava comunque da solo, e non con una squadra di agenti, cercando di farlo confessare per poter giungere a Diabolik, perché era un uomo di cui aveva stima in passato e, commettendo un errore di valutazione, non giudicava che fosse così cambiato da arrivare a cercare di ucciderlo. Questa idea non è piaciuta alla redazione, che l’ha modificata, così come è cambiato il modo in cui Nolan mette fuori gioco Ginko; nella mia versione utilizzava un bastone truccato che lanciava un dardo soporifero… un’idea che seguiva la mia linea di pensiero iniziale, secondo cui il Giustiziere avrebbe utilizzato trucchi alla Diabolik. Nella versione della storia che ho consegnato, però, quello era l’unico trucco rimasto.
I vecchi: Per i due anziani che compaiono nelle tavole 8 e 9, Andrea ha indicato a Matteo Buffagni di disegnarli ispirandosi ai i due vecchietti brontoloni che chiudevano con una battuta diversa ogni puntata del Muppet Show. Qualcuno aveva notato la somiglianza?
Matteo e il Punitore: A proposito, dato che l’idea iniziale di questa storia derivava dal personaggio del Punitore (anche se ho finito per allontanarmene), sono stato particolarmente contento del fatto che i disegni siano stati affidati a Matteo Buffagni, che lavora anche per la Marvel e in passato è stato proprio uno dei disegnatori di “The Punisher”.
E chiudiamo qui. In realtà mi sono trattenuto, perché avrei potuto aggiungere diverse altre cose, ma già così temo che l'eccessiva lunghezza possa spingere qualcuno ad abbandonare la lettura e quindi non ho voluto esagerare |
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